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Blitz dei carabinieri in un capannone, realizzavano camici per le forniture di un ospedale siciliano Cinesi schiavi nell'opificio: tre arresti Lavoravano 24 ore su 24, mai nessuno in paese li ha visti Gubbio - Veri e propri operai fantasma. Erano in sette, tutti di nazionalità cinese, che lavoravano e vivevano nello stesso luogo, un capannone di Costacciaro, dove in precedenza si producevano arredamenti. Ma nessuno, nella piccola comunità montana di 1300 anime, li aveva mai visti. Ora in tre, compreso il responsabile, sono finiti in manette. A Costacciaro, come Porta Palazzo a Torino, i cinesi sono invisibili. Ha aperto scenari impensabili per il territorio eugubino-gualdese un'azione di controllo della compagnia dei carabinieri guidata dal capitano Petese con il supporto dei colleghi di Sigillo e dell'ispettorato del lavoro della direzione provinciale del lavoro di Perugia, volta alla prevenzione ed alla repressione dei reati correlati al mancato rispetto delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro a tutela dell'incolumità dei prestatori d'opera ed il contrasto all'immigrazione clandestina. Nelle prime ore di ieri, i militari hanno individuato un capannone adibito ad opificio, all'interno del quale, in violazione delle più elementari norme igienico sanitarie e di sicurezza, veniva eseguita da lavoratori cinesi, la produzione di capi d'abbigliamento ospedaliero (camici per il personale medico, paramedico e inserviente). Trovate 10 postazioni lavorative, costituite da grosse macchine da cucire gran parte delle quali obsolete e non a norma, grazie alle quali la produzione si svolgeva a ritmo continuo, 24 ore su 24. Ciò sarebbe confermalo dalla presenza all’interno dello stabile di un angolo cottura a ridosso delle macchine operatrici mentre in una grossa camera adiacente, adibita a dormitorio, vi erano ammassati numerosi materassi ed effetti personali vari. Per tale motivo è stato fatto intervenire anche personale dell'Asl 1. Gli accertamenti condotti da carabinieri hanno permesso di appurare che erano sette i lavoratori cinesi impegnati nella produzione, tra i quali marito e moglie responsabili dell'improvvisata attività, oltre a cinque loro connazionali due dei quali regolari e tre clandestini (due uomini ed una donna). L.X., classe 1973, si trova in carcere a Perugia e dovrà rispondere, unitamente alla moglie trentenne, D.C. denunciata invece in stato di libertà, dei reati di sfruttamento del lavoro di cittadini stranieri in condizione di illegalità e favoreggiamento della loro permanenza sul territorio nazionale al fine di trarne un ingiusto profitto. Tratti in arresto anche H.W.; di 27 anni e C.Y.J,di 44 anni, per violazione delle norme sull'immigrazione e già espulsi dalle questure di Prato e Ascoli Piceno. Infine Z.F.Y., 42enne, è stata accompagnata in questura dove le è stato notificato un decreto di espulsione dal territorio nazionale. Il confezionamento dei manufatti, stando alle numerosissime etichette rinvenute nell'opificio, già applicate su prodotti finiti pronti per la consegna, avveniva per conto di una ditta umbra che risulterebbe essere vincitrice di una gara d'appalto per la fornitura di articoli in un ospedale siciliano. I militari stanno anche valutando la posizione del titolare dell'azienda segnalato all'autorità giudiziaria: non si escludono possibili violazioni alla normativa antimafia in tema di forniture derivanti da appalti pubblici. L’opificio è stato sottoposto a sequestro e la vicenda ora è in mano al pm Gabriele Paci. Patrizia Antolini |
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