La tragedia dello Shuttle richiama alla mente un evento accaduto 60 anni fa

Quando il velivolo militare centrò il monte

 

 

COSTACCIARO ‑ La recentissima tragedia aerea dello Shuttle, con le sue "sette vite" per sempre spezzate, mi ha richiamato alla mente il racconto, tramandatosi oralmente fra gli abitanti di Costacciaro, della caduta d'un velivolo militare sul Monte Cucco. Fu il 22 maggio del 1943, alle ore 11.15 circa, cioè in piena II Guerra Mondiale, che un grande aereo militare italiano, forse un bombardiere trimotore Savoia Marchetti, in volo di trasferimento (o in missione di guerra) verso le Marche, si schiantò contro il fianco occidentale del Monte Cucco, in località "Pecore Tarmìte", a circa 1300 m s.l.m. Nel tremendo impatto, contro le pendici rocciose del monte, persero all'istante la vita tutti e cinque i giovani membri dell'equipaggio. Si chiamavano Paolo Svanini di Milano, 39enne tenente pilota, Marcello Di Gennaro di Roma, 23enne aviere scelto, Mansueto Vannacci 30enne di Roma, Carlo Muratori  25enne di Piacenza e Gemmo Basso 24enne di Budrio . Lo schianto dovette essere davvero spaventoso, se poté venire udito distintamente da tutti gli abitanti di Costacciaro, persino da quelli, che, affaccendati nei campi, si trovavano in luoghi lontanissimi dalla montagna. Chi, al momento dell'incidente; stava pascolando le pecore sul monte, udii, dapprima, il rullare cadenzato delle eliche del trimotore in avvicinamento (descritto come un lungo e monotono, e, poi, una fragorosa esplosione, simile al deflagrare d'una bomba. E tutti si precipitarono a vedere, con i propri occhi, le conseguenze della tragedia, con l'intenzione di portare soccorso. Fu un accorrere, concitato e febbrile, quello che condusse, quasi tutto il paese, a riversarsi sui prati del monte. Alcune donne, che avevano i mariti o i figli al fronte, furono, comprensibilmente, fra le prime persone ad arrivare. Una, in particolare, giunse trafelata alle "Pecore Tarmìte", perché aveva il figlio arruolato in Aeronautica, e temeva fosse proprio il suo, l'aereo appena precipitato. Rottami fumanti, anneriti, contorti e semifusi erano sparsi ovunque nel raggio di centinaia di metri quadrati, il verde prato della "Pecore Tarmìte" pareva fosse stato attraversato da un furioso incendio. Altri testimoni, affermano, poi, ché le ruote del l'aereo rotolarono senza incontrare ostacoli, fino alla località "Fossa Secca". I più poveri fra i paesani recuperarono, destinandole successivamente a vari usi, le ormai inutili lamiere contorte del rivestimento della fusoliera. Lo spettacolo più straziante, tuttavia, fu quello dei corpi smembrati e carbonizzati delle vittime, che, i costacciaroli, sgomenti, con il permesso delle autorità raccolsero pietosamente, trasferendoli, poi, quasi in processione, fino alla chiesetta di San San Rocco. Trasportate sopra improvvisate barelle (o a spalla), le salme carbonizzate furono  qui sommariamente ricomposte ed allineate sul pavimento, e, tra la commozione generale, fu celebrata una prima funzione religiosa in loro suffragio. Ancora oggi, nel bosco sottostante all'area dell'impatto, si continuano sporadicamente a rinvenire parti metalliche, contorte e semifuse, del velivolo.

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