La leggenda del paladino Orlando

 

 

Costacciaro - Assai suggestivo, per le implicazioni di carattere naturalistico, storico e leggendario che comporta, è l'itinerario che, dal Pian delle Macinare, il più bel pianoro carsico del Monte Cucco, disteso a quota 1150 m s.l.m., conduce, lungo il sentiero numero 8, alla vetta del monte Le Gronde (m 1373). Lo "stradello" prende avviò dal ristrutturato rifugio di Pian delle Macinare per poi seguire, ma brevemente, un antico tratturo, significativamente denominato "I Trottori", testimone dell'intensa pratica della transumanza ovina d'un tempo. Raggiunta "La Fonte de l'Acqua Pàssera", un antico fontanile, il cui nome viene dal germanico wasser, `acqua', si possono riempire, fino all'orlo, le borracce. Dalla sorgente scaturisce una quantità perennemente esigua d'acqua, ma questa è assai fresca e leggera. Da qui, il sentiero inizia ad inoltrarsi nelle fitte e secolari faggete del versante meridionale del Monte Le Gronde. Il tracciato s'inerpica, infatti, nella frescura di annosi boschi di faggio, per dilagare; poi, sulle verdi praterie del "Col d'Orlando", o, popolarmente, "Còr d'Urlando" (e non mai "Colle d'Orlando", come si scrive, troppo spesso, erroneamente), un'antecima meridionale del Monte Le Gronde, a quota 1292 metri. Questa non eccelsa culminazione montuosa è, però, gravida di reminiscenze leggendarie. Un antichissimo racconto popolare vuole, infatti, che quivi, il paladino Orlando, sconfitto "in singolar tenzone", dal malefico gigante Sania, nei pressi dell'arcaica "Città Sanìa", l'odierna Scheggia, e "fatto a fette", con cinque titanici colpi di spada, il margine del monte Poggio Foce, si conducesse, in sella al suo sfibrato cavallo bianco, per esalarvi l'ultimo respiro. In tale luogo, infatti, Orlando avrebbe visto stramazzare al suolo e perdere la vita il suo fedele destriero, a causa d'una "gran bevuta d'acqua ghiaccia". Il "conte palatino" stesso, a questa desolante vista, e fiaccato dai tremendi colpi, vibratigli, con la "mazzafionda", da Sanìa avrebbe rimesso lo spirito nelle mani di Dio. A perenne ricordo della sua morte eroica, pastori e boscaioli delle nostre zone avrebbero successivamente intitolato al suo nome questa splendida cima ventosa, spazzata dai quattro venti. Superato il Col d'Orlando, il sentiero principia a risalire per un pendio prativo, qua e là costellato da arbusti spinosi e contorti, fino a raggiungere la dorsale più settentrionale della montagna. Di qui, con un lungo falsopiano, lentamente tramutatesi in un pendio via via più ripido, prima erboso, poi boschivo, si guadagna la sommità della seconda cima per altitudine del Parco regionale del monte Cucco: il monte Le Gronde. Dalla gran faggeta della località "Le Fontanelle", distesa lungo il versante orientale delle Gronde, emergono, quali giganti vegetali, una decina di faggi monumentali e colonnari, che, non di rado, superano i venti, venticinque metri d'altezza. Dal culmine del mante, la vista spazia libera a 360°, a sud‑est fino al citato Col d'Orlando e al monte Cucco propriamente detto, con i boschi dei "Bruciati", i prati di "Costi Leprène", e le alture sommitali della testata della Valràchena e della "Inforchetta", sul suo incontaminato versante settentrionale. Il vertice del monte Le Gronde è, a livello popolare, altrimenti conosciuto con il toponimo "La Torretta". Con questo nome di luogo si voleva probabilmente indicare una fortificazione, oramai completamente scomparsa, ed obliata persino nei più antichi documenti scritti.

Euro Puletti

Un saggio linguistico sul Cucco

Il professor Antonio Batinti, autorevole linguista presso l'Università per Stranieri di Perugia ed il dottor Euro Puletti, massimo esperto della toponomastica di Monte Cucco, hanno rea­lizzato un interessante lavoro a quattro mani dal titolo "I to­ponimi come indicatori della presenza di specie vegetali ed animali nel Parco Naturale Regionale di Monte Cucco (Umbria, PG)". Il saggio lin­guistico, di cui saranno presto disponibili gli estratti, è apparso, per l'anno 2002, nel ventinovesimo numero dei prestigiosi "Annali dell'Uni­versità per Stranieri di Peru­gia". "I nomi di luogo, che abi­tualmente usiamo per indica­re una porzione di territorio, una località ‑ precisano i due autori ‑ oltre che essere utili strumenti d'individuazione e d'indicazione, costituiscono anche una preziosa fonte di conoscenze linguistiche, stori­che e geografiche. Nei toponi­mi, cioè nei nomi di luogo, possiamo infatti leggere quale tipo di rapporto l'uomo abbia istituito e continui ancora ad intrattenere con il proprio am­biente. Numerosi nomi locali sono derivati da nomi di pian­te ("fitonimi") e di animali ("zoonimi"), e si rivelano, per lo più, in rapporto con la rea­le esistenza, in loco, di parti­colari specie vegetali e anima­li. L'importanza di tale tipo di studio multidisciplinare è, però, essenzialmente costitui­ta dal fatto che la presenza an­fica di piante e di animali, scomparsi anche da secoli (e ricordata, a volte, unicamente dai nomi locali), può essere, tramite questi, ricostruita con rigore scientifico e discreta attendibilità":