I sentieri per la sommità, un palo rosso segnala l'arrivo alla grotta

Percorsi per la vetta del Monte Cucco

 

 

Costacciaro - Fino a Pian del Monte l'ascensione non è difficile. Partendo dalla Mucchia, dov'è la chiesa di SanFrancesco, per il Poggio dello Spicchio, le Lecce e Pian de Cavalli, o prendendo di petto le Rocchette, sopra Capodajo, le strade Rosse, via Piana e gli Stragini, in meno di due ore ci si trova in cima. Pian del Monte, ampio, erboso, popolato alle spalle di faggi, a cavallo fra le Marche e l'Umbria, supera i mille metri. Da qui, proseguendo per la strada che porta alla Croce, fatto un breve tratto, si volta a destra per la Valcella. Si scende di qualche metro e, si risale sino alla Buca dell'Acqua. Dopo un'erta non lunga, ma ripida che ormai farà sentire il peso della strada percorsa, s'imboccherà il sentiero che mena alla Caverna. Fra i tanti strabelli tracciati dai carbonari e dalle pecore, solo chi è pratico del monte potrà riconoscere quello giusto. Gli altri finiranno quasi sempre per perdersi fra la macchia e per trovarsi a pochi metri dalla vetta o ai bordi della Fida, invariabilmente più su o più giù della meta. Quasi sempre verso il basso, però, perché la stanchezza, lusingata dalla speranza ingannatrice che la natura non debba esigere ancora un altro sforzo per mostrare le sue meraviglie, tenterà le gambe a lasciarsi andare verso il pendio costringendole poi, invece, a un'altra salita scoraggiante. Dalla Buca dell'acqua, un piccolo antro dall'ingresso impossibile nel quale scivola un filo d'acqua che si perde nella sottostante Grotta del Ferro, c'è appena mezz'ora per la Caverna. Il viottolo s'inerpica per cento metri fra sassi e balze qua e là verdeggianti di cardi e di falaschio, si butta poi fra la macchia secolare di faggi e di carpeni, per uscire nuovamente al sole lungo la fiancata di levante del Cucco, a precipizio su burroni scoscesi. A venti metri dalla grotta un palo rosso indica che le fatiche stanno per avere il meritato compenso. Ecco un'arcata di pietra, sotto di cui bisogna strisciare carponi, come profondo atto d'omaggio prima di essere ammessi nel regno di un mago potente, e poi si è finalmente alla grotta. L'imboccatura nera e cavernosa alla quale ci si affaccia diffidenti, scorgendovi appena il fondo 35 metri più in basso, consiglia a riflettere un po' prima di calarsi giù. Fino al 1922 vi si scendeva con la corda, appoggiandosi con i piedi alla rocciosa parete, umidiccia e coperta di muschio, mentre dal baratro sembrava salire un soffio antico di secoli per ammonire chi lo affrontava ad avere saldo il cuore e temprati muscoli, perché un attimo di debolezza o di paura sarebbe stata la fine. Oggi, una comoda scala di ferro permette la discesa con facilità e sicurezza. Però le incognite di una grotta sconosciuta, anche alle menti affollate da storie di mostri e di rettili misteriosi fa sempre sorgere il desiderio di rinfrancarsi con la fida borraccia e con la visione meravigliosa delle bellezze che, da lassù si ammirano. La caverna è a 1430 metri e sopra di essa si, erge sola la vetta del Cucco che supera i 1560 metri. Il 28 luglio del 1670 il Agostino Benigni, presidente dell'Accademia dei Disuniti di Fabriano, tenne ai suoi colleghi un'enfatica relazione dicendo tra l'altro: "Lor Signori, mentre hanno inteso essere in detta grotta, camere, sale, piazze, prospettive, teatri, guglie, colonne, depositi, statue, fogliami, intagli, mascheroni ed altro, concepiscano le sopradette cose nell'idea, come semplici sbozzi, poiché la dentro non vi è stato il Bernini ad intraprendere l'ufficio di architetto né di scultore".

Giuseppe Pellegrini