Numero 12 giovedì 7 luglio 2011

 

Il significato vitale de "la buga"

Tra il "Vecchio castel" di Costacciaro e il sovrastante Monte Cucco c'è, da sempre, "una corrispondenza d'amorosi sensi"… Per gli abitanti di Costacciaro, infatti, il Monte Cucco ha, ininterrottamente, rappresentato un punto di riferimento costante e "roccioso" nelle più alterne, instabili e precarie vicende della loro vita, che li ha visti, spesso, doversi dolorosamente distaccare, trasferendosi in "terre assai lontane", per cercare il pane ed il futuro. "Un centro di gravità permanente" per dirla con Battiato, cui essi sono sempre, non appena è stato loro possibile, ritornati, risalendo alle radici della propria identità geografica, storica ed umana. Dopo la loro casa d'origine a Costacciaro, la vetta del Monte Cucco ("L'Inforchetta") è stata, spesso, la seconda mèta che gli emigranti, di ritorno dall'estero, hanno voluto raggiungere e "toccare". La Grotta stessa, che i Costacciaroli chiamano, da sempre, per antonomasia, "La Buga", è stata, un po' come una sorta di Mecca nostrana, il luogo dove, almeno una volta nella vita, bisognava assolutamente essere stati per dirsi, veramente… "del posto". Anche se invisibile agli sguardi più esterni e superficiali, la Grotta, infatti, è stata sempre oltremodo presente nell'immaginario collettivo dei Costacciaroli, che le attribuivano il potere di far sfogare, all'interno delle sue vaste sale, i più rovinosi terremoti ("…ma nialtri c'em la buga che tutti i tremoti sfuga…"), difendendo, così, dalla distruzione, i paesi pedemontani, dall'inizio dei tempi storici e sino alla "finazione del mondo". È lo stesso immaginario collettivo costacciarolo che ha ubicato, nelle "bughe" del Cucco, conosciute e frequentate, almeno, dal XVI secolo, tutta una serie di storie e leggende, alcune delle quali, nella loro ingenuità, cercavano di spiegare la formazione delle cavità stesse, asserendo che il Cucco medesimo era stato, in origine, "'n gran Vissùvio", cioè un grande vulcano Vesuvio, che per far sfogare all'esterno i fuochi, le fiamme ed i fumi in esso racchiusi ("per far isventar fuori quei fiati racchiusi", scrive l'esploratore settecentesco eugubino conte Girolamo Gabrielli), avrebbe spalancato la sua nera bocca d'ingresso, spirante continuamente, oggi, le sue gelide e purissime arie sotterranee…

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