Fabrizio Cece - Euro Puletti
Sul bel monumento commemorativo, realizzato a perenne memoria dei caduti di Villa Col de' Canali, frazione del comune di Costacciaro (PG), innalzato probabilmente tra il 1923 e il 1926 sulla facciata orientale, in pietra bianca, di Palazzo Morelli, è riportato, accanto alla figura bronzea di un fante (figura universalmente impiegata, in moltissimi monumenti, per ricordare il sacrificio dei soldati italiani di tutte le Armi), l'elenco nominativo dei militari di Villa caduti nella Prima Guerra Mondiale o per causa di guerra.(1) Per ricordarli tutti ne pubblichiamo, di seguito, lo stesso elenco, accompagnandolo da quelle note che é stato possibile per il momento rintracciare. Non disperiamo che attraverso la consultazione di fondi archivistici, di altro materiale bibliografico e, magari, con l'aiuto dei parenti e discendenti dei caduti, sia un giorno possibile fornire notizie maggiormente circostanziate per tutti i soldati citati e, perchè no, anche per coloro che dal conflitto tornarono e vissero per molti anni ancora anche se, magari, con i segni che quella terribile epopea di morte lasciò sulla loro carne e nella loro mente. I nomi dei soldati vengono ricapitolati rispettando l'elenco scolpito sul monumento che tiene conto del grado militare e, in subordine, dell'ordine alfabetico.
PAMBIANCO SETTIMIO di Giammaria (foto 2)
"Decorato di medaglia d'argento e di bronzo al v.m. Tenente Cappellano 60à reggimento fanteria, nato il 24 aprile 1888 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, disperso il 26 luglio 1916 sul monte Colbricon in combattimento"(2)
Su don Settimio Pambianco (1888-1916), personaggio che, al pari del tenente Ettore Vivani e di tutti gli altri, meriterebbe un migliore approfondimento,(3) si dispone attualmente di pochi documenti, sufficienti però, ad inquadrarne la vita militare, soprattutto quella degli ultimi giorni di guerra. Don Settimio, quale tenente cappellano del 60° fanteria (brigata Calabria) ebbe senz'altro modo di assistere alla conquista definitiva del famigerato Col di Lana dopo lo scoppio della grande mina avvenuto il 17 aprile 1916.(4) Il 21 maggio 1916, don Settimio scrisse alla contessa Laura Della Porta, presidentessa della locale sottosezione dell'Ufficio Notizie di Gubbio, comunicandole la notizia dell'irreperibilità del soldato eugubino Massimiliano Cipicciani caduto dopo il combattimento del 21 aprile 1916:(5) " Illustre signora, Il soldato Cipicciani Massimiliano della 7a Compagnia al Comando del 60° risulta ferito; ma fatte indagini presso la 18a Sez. di Sanità, il Cipicciani non risulta sgombrato sulla medesima. Il che fa supporre che sia morto durante lo sgombero della linea di combattimento alla Sezione di Sanità. Ad ogni modo assumerò ulteriori e più dettagliate informazioni e se verrò a qualche conclusione terrò informata la S.V. Ossequi e saluti. Il Cappellano M.re 60° Fanteria Pambianco D. Settimio"(6). Circostanza volle che, proprio in quella breve ma sanguinosa battaglia, don Settimio ottenesse la medaglia di bronzo al valor militare. Così recita la motivazione: "Durante un combattimento, sprezzante del pericolo esplicò con fervore ed alacrità il suo ministero. Fece poi bellissima prova di subalterno, radunando ed inviando uomini sulla posizione nemica e si diè anche con zelo a raccogliere mezzi per rafforzarla. Col di Lana, 21 aprile 1916" (7). Com'è noto la brigata Calabria fu spostata dalla regione del Col di Lana al nuovo fronte del Monte Colbricon per concorrere, assieme ad altri reparti, alla conquista di importanti posizioni montuose. Fu proprio in quest'ultimo contesto operativo che trovò la morte il tenente Pambianco. Per inserire meglio la morte di don Settimio nell'ambito della guerra, si trascrivono i seguenti brani: "Nell'economia complessiva delle operazioni offensive poste in essere dalla 4a armata italiana, risultava fondamentale il contributo che le unità della brigata Calabria (magg. gen. Mulazzani Arturo Benedetto) avrebbero dovuto offrire da nord-est all'azione del "Nucleo Ferrari" e da sud alla brigata Tevere. Com'è noto, la Calabria aveva completato il proprio ammassamento verso la metà di luglio, nascondendosi al gran completo (meno il II/59° fant.)(8) in val Venegia e sulle falde nordoccidentali del Castellazzo. Secondo i piani del comando d'armata, l'attacco lungo la testata di val Travignolo doveva avvenire con ben quattro battaglioni, suddivisi in due colonne (...). La sera del 19, disturbati non poco da un violento temporale, i battaglioni della Calabria iniziavano la loro marcia di avvicinamento all'avversario, raggiungendo, a notte fonda, le seguenti posizioni: quota 1832 (nord-ovest di malga Juribello) e malga Costoncella, con i battaglioni II e III/60° fant.; pendici nord del Castellazzo con il III/59° fant., e il declivio settentrionale della Cavallazza con il II/59° fant. (in collegamento con il " Nucleo Ferrari" giunto su cima Tognazza). Indisturbata, la punta avanzata dello schieramento italiano era riuscita a portarsi alle spalle del presidio austriaco di cima Cavallazza e del passo di Colbricon, ponendo le premesse per una positiva conclusione dell'azione programmata per il giorno seguente (...). Fermi sulle posizioni raggiunte, i soldati della Calabria trascorsero altre 24 lunghissime ore; nelle loro orecchie uno spaventoso rumore di battaglia proveniente dalla vicina cima Bocche, confermava che "lassù" qualcuno stava già morendo. Il mattino del 21 una violenta scarica d'artiglieria d'ogni calibro si riversò sulle posizioni occupate dagli austro-ungarici e comprese fra la Cavallazza, il passo di Colbricon, la cima omonima e le retrovie di val Travignolo. (...) Ne conseguì, che almeno nella prima fase, l'avanzata della brigata Calabria, lungo la testata di val Travignolo, non trovò nessun impedimento di rilevo e solamente in un secondo momento, quando cioè i reparti avanzati giunsero a stretto contatto con le accorse riserve imperiali, si ebbero scontri di una certa entità (...). Come previsto dal comando della 4a armata, alle 4 del 22 luglio la brigata Calabria riprendeva la propria avanzata, interrotta il giorno prima. Obiettivo di questa nuova fase operativa, l'ampio acrocoro roccioso posto a nord del Piccolo Colbricon e sul quale i cacciatori del cap. Binder (23° battaglione) avevano trovato la loro nuova collocazione difensiva. Piccolo Colbricon (m 2511), cima Stradon (m 2328) e quote 2187 e 2029 delle Buse dell'Oro, i nuovi capisaldi di questa formidabile linea trincerata che, pur priva di grandi opere, trovava la propria forza nelle caratteristiche del terreno (...). La brigata Calabria si apprestava a trovare un nuovo Col di Lana. Primo obiettivo da raggiungere, l'altura di quota 2029, contro la quale furono lanciate le compagnie 10a, 11a e 12a del III/60° fant. (colonna di destra) e tre sezioni mitragliatrici. Diversamente dal giorno innanzi, tuttavia, l'avanzata si dimostrò fin da subito molto più difficoltosa; ben presto alle complessità del terreno sul quale le truppe erano costrette a procedere, si aggiunse il disturbo operato da ben nascosti cecchini, tutt'altro che intenzionati ad arrendersi. Man mano che le avanguardie si spingevano verso l'alto, il fuoco d'interdizione nemico aumentava, fino a raggiungere un'intensità e una precisione tale da impedire qualsiasi movimento (...). Incaricato, questa volta, di oltrepassare quota 2029 e di puntare risolutamente alle alture sovrastanti la valletta percorsa dal rio delle Buse dell'Oro, il III/60° fant. (colonna di destra) riuscì, a prezzo di gravi perdite, a spingersi sino alla base delle rocce di quota 2022 a cavallo del ruscello, dove però fu costretto ad attestarsi. Contrattaccati violentemente (...) gli uomini del magg. Ameri dovettero retrocedere alquanto (...). Purtroppo per gli italiani, proprio in quelle ore stava completandosi l'ammassamento in val Travignolo dei tanto attesi rincalzi austro-ungarici. (...) Nei giorni successivi, solamente l'estrema ala sinistra della Calabria (I/59° fant.) proseguì le proprie proiezioni offensive. (...) Tuttavia, al mattino del 26, dopo una breve, ma violenta preparazione d'artiglieria, le unità italiane ritornarono in massa all'attacco. Destino volle che alla vigilia del meritato riposo i cacciatori del cap.Binder [austriaci] dovessero pagare un ulteriore tributo di sangue. Fu una giornata terribile. Improvvisamente, dopo gli ultimi colpi di cannone, dal folto della foresta fecero la loro comparsa folti gruppi di soldati italiani; al grido di "Avanti Savoia" decine di giovani, con fucile e baionetta, tentavano coraggiosamente di risalire il pendio, sfidando la morte. Un battaglione (II/60° fant.) si lanciò addosso al filo spinato di quota 2029, ancora perfettamente intatto, ma il gracchiare delle mitragliatrici austriache ne frenò progressivamente la corsa. Falciate a bruciapelo, le avanguardie di quell'imponente massa d'attacco dovettero ben presto arrestarsi e ritirarsi. Ma la veemenza italiana era ben lungi dall'esaurirsi, tant'è che, dopo il preciso fuoco di due bombarde e l'esplosione di alcuni tubi di gelatina, che causarono un ampio squarcio nel reticolato, " Attraverso il varco al grido fatidico di Savoia i bravi fanti della 6a e 9a compagnia irruppero sui difensori delle rocce (nei pressi della quota austriaca 1997), facendone strage e catturando 63 prigionieri tra cui 2 ufficiali ed una mitragliatrice". Nonostante ciò, il successo conseguito non portò a nient'altro. Colpiti infatti dagli shrapnel "Attaccati da forze ingenti e superiori, bersagliati da ogni parte dal violento fuoco delle artiglierie avversarie i pochi superstiti delle due compagnie dovettero ripiegare sulle primitive posizioni". A fronte di centinaia di morti, la brigata Calabria non pervenne ad alcun risultato importante e le rispettive linee rimasero sostanzialmente immutate. A sera, l'operazione venne sospesa. Durante quel drammatico giorno, la brigata aveva perso 631 uomini. Fra questi 81 uccisi (2 ufficiali), 371 feriti (23 ufficiali) e 179 dispersi (4 ufficiali)"(9). Don Settimio, forse presago della sua imminente fine, proprio il 20 luglio, giorno dell'inizio dell'attacco, così scrisse al fratello, padre Filippo Pambianco, frate agostiniano come lui: "Carissimo Fratello, ti spedisco una breve relazione sul servizio religioso presso il 60.mo Fanteria inviata al Vescovo di Campo, due orari sul servizio religioso approvati dal Sig. Colonnello, due encomi dei quali uno già ti è noto, un ritaglio del giornale "L'Italia" a proposito del rinvenimento della salma del Sottotenente Bertarelli Luigi. Ti prego per ragioni di prudenza di non dare comunicazione ad alcun giornale di tale incartamento; al più puoi mandarne copia al Direttore del "Prete al Campo"(10) D. Giulio De Rossi (Via della Scrofa, 70, Roma). Ti avverto tutto questo a previsione di qualunque eventualità. Non ti spaventare di questa lettera che parrebbe voler assumere l'idea di un testamento; a casa non l'avrei scritta, a te sì. Bisogna guardare in faccia la realtà e serenamente accingersi allo adempimento del proprio dovere. Piuttosto prega Iddio per me, affinchè mi conceda la forza e le qualità necessarie per assolvere la mia missione a tutela del buon nome della religione e del sacerdozio. Sento di essere troppo in basso. L'unica soddisfazione che ho chiesto a Dio è la gioia pura e serena che proviene dall'adempimento del proprio dovere. Io per naturale sono un poco egoista; in questo momento sento però di dover dimenticare me stesso. Le persone scompaiono e rimangono nella loro purezza le loro grandi idee di religione e di patria. Io sento nell'animo mio queste due grandi concezioni, ma come sono impari ad assolverle! Prega, prega molto Iddio per me, e confidiamo che Egli voglia esaudire una preghiera che non è fondata su interessi personali, ma che ha solo per oggetto la gloria della religione, la salvezza della Patria. Caro fratello, il tempo non mi permette di prolungarmi in altre considerazioni. La mamma che tanto mi amava in terra, spero vorrà seguirmi colla sua preghiera dall'alto dei cieli! Tanti saluti e baci dal tuo affezionatissimo Settimio". Per il comportamento tenuto durante la battaglia, padre Pambianco fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare. Eccone la motivazione:"Con mirabile slancio partecipava all'attacco di una forte e ben difesa posizione stabilita sull'alto di una parete rocciosa ed incurante del violento tiro nemico di fucileria e bombe a mano trascinava col proprio entusiasmo i compagni, raggiungendo fra i primi la linea contrastata. Sferratosi un impetuoso contrattacco avversario, accompagnato da improvviso e intenso bombardamento, fieramente rimaneva nella posizione conquistata, facendo ogni sforzo per trattenere le truppe che incominciavano ad indietreggiare, finchè scomparve fra gli assalitori. Cima Stradon Colbricon, 26 luglio 1916"(11).
VIVANI ETTORE di Paolo(12) (foto 3)
Nato a Santa Margherita Belice il 20 dicembre 1893, morto a Villa Col de' Canali di Costacciaro il 1° gennaio 1923. Ardito "Fiamme Nere" in un Reparto d'Assalto, decorato con 3 medaglie d'argento e una di bronzo al valor militare. Il pluridecorato tenente degli Arditi Ettore Vivani nacque in Sicilia, a Santa Margherita Belice (Agrigento), il 20 dicembre 1893. Il 24 maggio 1915 lo colse sottotenente al 94° regg. fant. (brigata Messina) di stanza a Fano. In prima linea rifulsero subito le sue eccellenti qualità di combattente, le sue doti di coraggio e il suo senso del dovere. Fin da principio conquistò l'affetto e la stima dei suoi superiori. Il colonnello comandante il reggimento lo definì "il mio occhio destro". Egli, più volte decorato, aveva già compiuto, fino in fondo, il suo dovere. Inabile alla guerra, avrebbe potuto attendere, con animo sereno, il corso degli eventi. Alla notizia della disfatta, invece, si arruolò negli Arditi, forse nel X reparto d'assalto. Il 30 marzo 1918, nel corso di un violento scontro, rimase nuovamente ferito e venne così insignito, per la terza volta, della medaglia d'argento al valor militare. Per lui, la guerra è finita definitivamente. Un anno intero lo passò degente negli ospedali militari di Milano. Tornò in seguito a casa dei suoi genitori a Villa Col de' Canali, versando nel pietoso stato di grande invalido di guerra. Il tenente Vivani fu decorato anche di altre medaglie, quali, ad esempio, la croce dell'Ordine di San Giorgio (conferita ai soldati più meritevoli di ogni divisione), una decorazione del governo inglese e una di quello francese, cioè la "croce di ferro con stella d'oro". Queste le motivazioni delle medaglie al valor militare da lui guadagnate in brillanti azioni e terribili scontri, anche corpo a corpo.
1. Medaglia di bronzo. "Comandante di una pattuglia, con arditezza e coraggio, tentava di catturare una pattuglia avversaria superiore in forza. All'intimazione di resa, i nemici risposero facendo fuoco; però, dopo vivo scambio di fucilate, fuggivano: uno rimase sul terreno, e un ufficiale, un cadetto e sette militari di truppa vennero fatti prigionieri. Bosco Usnik, 13 marzo 1916"(13)
2. Prima medaglia d'argento."Durante un violento scontro notturno, con soli dieci uomini, assaliva arditamente il fianco del nemico molto più numeroso, decidendo dell'esito favorevole del combattimento. Slanciatosi avanti a tutti all'assalto, lottava solo con due avversari, riuscendo a disarmarli. Confluenza del Rio Usnik col Rio del Mulino, 15-16 maggio 1916"(14). Tale azione avvenne nella zona di Tolmino. Si trattò senz'altro di qualche operazione "minore" eseguita mentre, sul fronte est, gli austro-ungarici avevano scatenato laStrafexpedition (15 maggio 1916). Questa operazione comportò, infatti, anche l'inizio di un violento cannoneggiamento lungo tutto il fronte dell'Isonzo.
3. Seconda medaglia d'argento. "Ettore Vivani, da Santa Margherita di Belice (Girgenti), sottotenente reggimento fanteria. - Durante un violento attacco del nemico che era penetrato fin nelle nostre trincee, concorreva, con esemplare ardire e coraggio, a ricacciare l'avversario, infliggendogli gravi perdite. Prendeva parte personalmente a viva lotta corpo a corpo, abbattendo un ufficiale. - Vertojba Inferiore, 3 marzo 1917".(15) All'inizio del 1917, l'attività militare sul fronte italiano si era talmente ridotta che anche Vittorio Emanule III potè recarsi a Roma per quindici giorni. Già alla fine di gennaio, però , gli Austriaci avevano tentato di infiltrarsi nelle linee italiane con azioni accuratamente preparate con fuoco d 'artiglieria. I tentativi d'assaggio delle nostre linee si conclusero con il vero e proprio attacco del 10 febbraio 1917. Forti contingenti di fanteria nemica assalirono le nostre trincee in più punti riuscendo a penetrarvi. Tra le nostre posizioni assaltate vi fu anche quella posta ad est della Vertoibizza, torrente posto a pochi chilometri ad est di Gorizia. I contrattacchi italiani si dimostrarono all'inizio inutili, mentre già entro il 12 febbraio tutte le linee erano state riconquistate. Questi tentativi di infiltrazione, tuttavia, furono ben presto ripetuti e ciò lungo tutto il fronte isontino. Fu proprio in una di tali azioni che il tenente Vivani si guadagnò la sua seconda medaglia d'argento. Questo il passaggio dell'agenzia Stefani che illustra l'azione: "Il 4 marzo, nelle ore pomeridiane, dopo intenso fuoco d'artiglieria, forti reparti nemici attaccarono le nostre posizioni ad est di Vertojba; ma furono nettamente respinte con gravi perdite. Nuclei del 94° fanteria irruppero al contrattacco e dispersero il nemico, catturando prigionieri".(16)
4. Terza medaglia d'argento. "Ettore Vivani, da Santa Margherita di Belice (Girgenti), tenente reparto assalto. - Incaricato di una ricognizione notturna, si portava arditamente sotto ai reticolati nemici, ove, vistosi scoperto, lanciò i suoi uomini all'assalto. Rimasto gravemente ferito al petto, mentre, in persona, stava tagliando i reticolati, non desisteva dall'attacco, ed incitava continuamente i suoi uomini ad avanzare. Trasportato al posto di medicazione, conscio del suo grave stato, rivolgeva ai presenti parole degne del suo nobile cuore e del suo altissimo amore di patria. - Case Castellani - Val Posina, 30 marzo 1918".(17) Dopo la riorganizzazione dei reparti d'assalto(18) e l'assegnazione di uno di loro per ogni corpo d'armata (8 gennaio 1918)(19) il X reparto (al quale fu assegnato probabilmente il tenente Vivani) fece parte del X Corpo d'Armata (1a Armata). L'Armata era schierata dalla riva sinistra del lago di Garda al nodo del Cengio (1 marzo 1918) .Come descritto nella motivazione della terza medaglia d'argento, l'azione dell'ardito Vivani ebbe luogo nella Val Posina, praticamente una valle parallela al massiccio del Monte Pasubio, durante una ricognizione esplorativa per rilevare la posizione e la consistenza dei reticolati austriaci. Il fronte italo-austriaco in quel punto era stato caratterizzato dalla lunga guerra di mine combattuta sul Pasubio che il 13 marzo 1918 aveva visto il brillamento della colossale mina austriaca, caricata con ben 50 tonnellate di esplosivo (clorato e dinamite), posta sotto il Dente Italiano del Pasubio.
Tornato a casa, ridotto l'ombra di se stesso, Vivani si sforzava alle volte di passeggiare con gli amici di sempre, ma la maggior parte della giornata era costretto a trascorrerla a letto. Amatissimo dai suoi compaesani, il tenente Vivani si spense il primo gennaio 1923, a soli trent'anni. Solenni, grandiose ed imponenti furono le esequie tributategli dalle autorità civili e militari e dal popolo intero. Sembra che ai funerali pubblici intervenisse anche il Prefetto di Perugia. Mai quei luoghi ebbero modo di assistere a tanta corale partecipazione. La comunità di Villa Col de' Canali volle, in seguito, perpetuare la memoria del tenente Vivani intitolandogli la via principale del paese.(20)
PELLEGRINI FELICIANO di Pasquale (foto 4)
Sergente 134° reggimento fanteria, nato il 13 maggio 1893 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 19 giugno 1916 sull'Altopiano di Asiago per ferite riportate in combattimento.(21) Il sergente Pellegrini, nato a Villa il 12 maggio 1893, fu mitragliere valoroso che tormentava continuamente gli austriaci con la sua arma. Cadde "sulle aspre alture degli scogli di Alpofin"(22), come detto, il 19 giugno 1916, all'età di ventitrè anni. A lui, la comunità del paese natio ha voluto dedicare una via del centro abitato.Dopo la sorpresa della Strafexpedition austro-ungarica (iniziata il 15 maggio 1916) ed il conseguente ripiegamento, le truppe italiane si riorganizzarono ben presto. La brigata Benevento (133° e 134° regg. fant.), a cui era stata assegnata la compagnia mitragliatrici del sergente Pellegrini, il 16 giugno 1916 attaccò e conquistò gli Scogli di Alpofin (parte settentrionale dell'altopiano di Asiago, 5 km ad est di Monte Forno), resistendo, poi, ai contrattacchi nemici. I fanti italiani vennero però bloccati dalla 12a brigata di fanteria imperiale(23).
PELLEGRINI FRANCESCO di Pasquale (foto 6)
Soldato 20° reggimento bersaglieri, nato il 3 giugno 1889 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 30 agosto 1918 sul Monte Maio per ferite in combattimento(24). Il Monte Maio è un'altura scogliosa posta a pochi chilometri sulla destra del Monte Pasubio, luogo tragicamente famoso per le epiche battaglie (anche e soprattutto di mina) che vi si svolsero dal 1915 al 1918. Gli italiani, in particolar modo, cercarono più volte di assaltare il Monte Maio, pericolosa e fastidiosissima spina nel loro fianco, specie per le nostre salmerie, addette ai rifornimenti ed approvvigionamenti dei reparti s chierati sul massiccio del Pasubio. Inutili furono gli attacchi, molti, invece, caddero.
BELLUCCI CARLO di Cesare
Soldato 129° reggimento fanteria, nato il 24 marzo 1888 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, disperso il 4 dicembre 1917 sull'Altopiano di Asiago per ferite riportate in combattimento(25). Il 129° regg. fant. faceva parte della brigata Perugia (assieme al 130° di Roma) e in esso militarono numerosi soldati provenienti dal distretto militare del capoluogo umbro, compresi gli eugubini. La morte del soldato Bellucci avvenne durante la cosiddetta "battaglia d"arresto" che oppose l'esercito italiano alle armate austro-tedesche che avevano sfondato il fronte orientale nei pressi di Caporetto (24 ottobre 1917). Ecco come un documento d'epoca (1918) ricostruisce l'attività del 129° fanteria in quelle tristi giornate: "La sera del 27 [ottobre 1917], quando si ebbe l'ordine di ripiegare, è con vero rammarico che i soldati del bel reggimento abbandonarono le linee dove come altrove e sempre avevano dato prova di tenacia, di valore e di resistenza eroica. I gruppi di arditi rimasti in trincea per celare il movimento all'avversario e proteggere la ritirata, consci dell'alto compito, che loro incombeva, seppero assoggettarsi a sacrifici eroici onde permettere ai vari reparti del reggimento di ritirarsi indisturbati, molti di essi rimasero sul campo e i supersiti raggiunsero poi alla prima tappa. Nei vari spostamenti il reggimento, a turno col 130°, fu di retroguardia divisionale, occupò successivamente la linea del Tagliamento, della Livenza e del Piave. Al Tagliamento alcuni reparti diedero prove splendide di abnegazione, sacrificio e valore nel cooperare al trasporto con barconi di militari che erano rimasti al di là del fiume dopo fatti saltare i ponti di Latisana. Durante la ritirata rifulsero le virtù militari e di disciplina del reggimento; nessun accenno di panico o di disordine; pochissimi i dispersi, tanto che appena fu segnalata la necessità di truppe su altro fronte, il reggimento e l'intera brigata, perchè quasi al completo ed in efficienza, poterono con mezzi celeri essere trasportati sugli Altipiani dove il 129° reggimento scrisse un'altra bellissima pagina della sua storia. La sera del 16 novembre il nemico già aveva rotto in parte le nostre linee e le truppe che le presidiavano ripiegavano disordinatamente e il 129°, con alla testa il II battaglione, risaliva la Val Miela. L'energia degli ufficiali, la salda disciplina della truppa, l'alto spirito combattivo dei singoli individui, ebbero ragione della situazione e il mattino del 17 il II° battaglione, coadiuvato dagli altri, attaccò risolutamente, irruppe sulle trincee respingendo nettamente l'avversario e rioccupando le trincee prima in nostro potere, catturando un centinaio di prigionieri e abbondante materiale bellico. Il Bollettino del Comando Supremo citava di nuovo in questa occasione il reggimento esaltando l'opera dei reparti del 129° per la sua splendida condotta nella riconquista di posizioni avversarie (18 novembre 1917). Il giornale "Il Popolo d'Italia" inviò N. 48 cartelle da £.100 del Prestito Nazionale (parte di una sottoscrizione per premiare i reparti citati dal Bollettino del Comando dopo il 24 ottobre 1917) da distribuirsi ai soldati in omaggio al distinto valore spiegato nei combattimenti delle Melette. Il reggimento aveva subito fortissime perdite; il 21 era rimasto ferito il colonnello Paolini cav. Paolo da pallette di shrapnel; del II° battaglione non erano rimasti che 6 ufficiali e circa 250 uomini, senza contare le perdite degli altri battaglioni che in complesso risalivano al migliaio, pur tuttavia continuò a dar prova di fulgida resistenza. Per tutta la giornata del 22 furono combattimenti furiosi e cruenti, un continuo succedersi di attacchi e contrattacchi di estrema violenza, finchè il tratto di Roccioni di Melette Davanti, tenuto dai pochi supersiti del II° battaglione (maggiore Paganuzzi) venne occupato dal nemico. Furono atti di vero eroismo da parte di ufficiali e truppa. Finché vi fu un gruppo di uomini la resistenza fu protratta con estrema tenacia; quasi tutti perirono sul campo piuttosto che cedere e il nemico, mettendo piede nelle trincee, non trovò che cadaveri e non potè prendere che pochissimi uomini i quali, sopraffatti dalla stragrande superiorità numerica, furono ridotti nell'impossibilità di continuare a fare uso delle armi. Venne subito rettificata la linea, rafforzata la nuova posizione, completati gli organici con i nuovi complementi giunti e il reggimento continuò nelle sue belle tradizioni. I bombardamenti delle artiglierie, gli attacchi delle fanterie, il rigore della stagione non valsero a smuovere neppur menomamente la resistenza dei baldi fanti del 129° fanteria aggrappati ai roccioni. Il 23 su M.Fior moriva anche, colpito da granata, il colonnello brigadiere Turba cav. Euclide, comandante la brigata, decorato di medaglia d'oro. Il 4 dicembre fin dalle prime ore del mattino ricominciarono con i bombardamenti delle artiglierie nemiche e attacchi parziali delle fanterie sempre respinti. Verso mezzogiorno si ebbero le prime notizie dello sfondamento delle nostre linee molto più sulla destra (Badenecche e Tondarecar) e si videro gruppi di nemici risalire il Fior. Ciò però non diminuì la resistenza, nè scoraggiò i valorosi fanti: il II° battaglione guidato dal maggiore cav. Dardano, sebbene ferito volle continuare a combattere, attaccò risolutamente la Meletta Davanti, riuscendo col proprio sacrificio a frenare l'impeto nemico. Intanto i gruppi di nemici si fecero più numerosi e si videro interi reparti risalire sul Fior e sullo Spil. Anche dalla parte di M. Zomo il nemico avanzava. Il reggimento si trovò incuneato nelle file avversarie, ma continuò a combattere e resistere. Sulla destra della Val Miela non vi erano più che i resti del I° e II° battaglione, sulla sinistra il III° aveva avuto perdite forti; la testata della valle era già in possesso del nemico. Una pattuglia nemica si presentò alla sede del Comando di reggimento intimando la resa, ma fu messa in fuga. Cominciarono colpi di fucileria alle spalle e cominciò a ritenersi inevitabile l'accerchiamento. Vista inutile ogni resistenza, venne deciso di tentare un nuovo sbarramento della valle al ponte di Val Miela. Grazie alle savie disposizioni del comandante del reggimento, colonnello Maculani e l'energia del comandante del III° battaglione, tenente colonnello Ros Sebastiano, il ripiegamento attraverso il cerchio nemico viene eseguito ed il nuovo sbarramento effettuato con i pochi supersiti. Il giorno seguente però la resistenza è giudicata impossibile, data la superiorità delle forze nemiche, il dominio delle loro posizioni e le colonne nemiche che avanzavano. Il ripiegamento avvenne regolato ed ordinato per la Val Frenzela e, risalendo poi per Sasso, vennero occupate le trincee di Col d'Astiago. Il giorno 6 dicembre il reggimento si trasferì a Caltrano per ricostituirsi e non appena in ordine, la notte dal 23 al 24 dicembre, su autocarri viene trasportato a Campo Rossignolo. Il II° battaglione fu subito impegnato con la brigata Regina in un'azione parziale contro M. Valbella (25 dicembre) e si meritò parole di elogio da quel comandante per la sua condotta"(26). In quella battaglia la brigata Perugia registrò la perdita di 102 ufficiali e 2883 militari di truppa tra morti, feriti e dispersi.
BUCCIARELLI LUIGI di Angelo
Soldato 129° reggimento fanteria nato l'11 dicembre 1890 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 10 novembre 1915 sul monte San Michele per ferite riportate in combattimento(27). Le circostanze della morte del soldato Bucciarelli sono riepilogate in un documento d'epoca: "Dall'epoca all'ottobre il reggimento, pur distinguendosi sempre in turni di trincea e in lavori di rafforzamento (ponte di Gorizia, M. Fortin, Oslavia) non prese parte attiva a combattimenti, stava però preparandosi e temprandosi per la nostra grande offensiva dell'ottobre-novembre 1915. Con essa iniziano le sue più grandi e fulgide glorie. Non invano gettarono il loro appello S.A.S. il duca d'Aosta comandante l'Armata e S.E. il generale Morrone comandante il Corpo d'Armata con i loro proclami del 18 ottobre: " Avanti! Per la pace dei popoli , Per la gloria d'Italia, Per l'orgoglio delle vostre madri, Per la felicità delle vostre spose, Per l'avvenire dei vostri figli, Il Re, la Patria, il mondo intero vi guardano! La gloria vi è compagna!". Questo il grido dei capi a cui rispose entusiastico e fermo il grido degli Umbri umili e forti: "Avanti!" . Comandava allora il reggimento il colonnello Ferrari cav. Giorgio. La notte dal 20 al 21 ottobre per la passerella di Gradisca il reggimento passò l'Isonzo ed occupò i ricoveri del casello 46 e filanda di Sdraussina ed il 21 mattina entrò in combattimento attaccando le trincee nemiche di Peteano, riuscendo verso sera a sloggiare gli austriaci dopo vivissimo combattimento e il 23 attaccò risolutamente Boschini, il fortino delle Rocce Rosse e le trincee che da esse scendono all'Isonzo occupandole. Al primo contrattacco austriaco, le truppe che avevano occupato le posizioni, perduti tutti gli ufficiali, dovettero retrocedere; ma poi, verso sera, rinforzato dalle due compagnie di rincalzo del II° battaglione, sferrarono nuovamente l'assalto compatto e risoluto, rioccupando le posizioni e ricacciando poscia con perdite ben altri sette contrattacchi nemici. Il reggimento perseverò nella lotta con tenacia e valore nei combattimenti del 24 e 28 ottobre, 2,4,11,12 novembre e in ultimo, quando tutto (molteplici cruenti lotte, disagi per il mal tempo, perdite subite) faceva credere che un meritato riposo lo togliesse della linea di combattimento il 18 novembre: Logori, ma indomiti i valorosi fanti del 129° fanteria, fasciati i piedi in sacchi a terra, nelle tenebre, irrompevano dalle trincee sull'avversario e lo disperdevano completamente prendendogli 175 prigionieri e abbondante materiale di guerra. (Bollettino di guerra 19 novembre 1915). Sino allora nessun reggimento ebbe l'onore di essere citato nel bollettino del Comando Supremo dall'inizio della guerra, il 129° fanteria fu il primo e con un motivo da far inorgoglire i componenti e da far fremere di ammirazione e di entusiasmo l'Italia tutta. Innumerevoli furono gli elogi, gli encomi dei comandi superiori, per il contegno ed il valore di questo reggimento; fra gli altri quello fatto dal generale Marazzi (comandante della 29a divisione) nell'ordine del giorno 12 novembre 1915: Il 129° fanteria, primo entrato in trincea verso Boschini ha dato di sè tali prove che splendono fulgide e onorano la sua bandiera. La costanza e l'energia con cui persevera sul campo della lotta, con cui giornalmente sopporta disagi, fatiche, perdite, dicono del suo valore morale e fisico. Abbia per conseguenza il mio compiacimento e la gratitudine della 29a divisione che esso illustra. Per i fatti di cui sopra S.M. il Re di "motu proprio", concedeva alla bandiera del Reggimento la medaglia d'argento al valor militare con la seguente splendida motivazione: Con salda disciplina, con ferma volontà, con superba audacia da Peteano si affermò sulle Rocce Rosse e verso Boschini (Basso Isonzo) abbattendo reticolati pro fondi, conquistando trincee nemiche saldamente guarnite e difese (20 ottobre - 18 novembre 1915)(28)
CHERUBINI GUSTAVO di Anselmo
Soldato 64° reggimento fanteria, nato il 5 dicembre 1889 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 19 luglio 1915 (29) a San Pietro sull'Isonzo per ferite riportate in combattimento (30). La brigata Cagliari (63° e 64° regg. fant.) già alla fine della prima battaglia dell'Isonzo (23 giugno - 7 luglio 1915) era venuta a contatto delle difese imperiali nei pressi del Monte Sei Busi. Il 18 luglio riprendono le operazioni contro i reticolati austriaci e il 63° fanteria, marciante di nuovo in formazione di battaglia, è presto arrestato dagli intricati e fitti reticolati nemici. L'artiglieria bombarda le linee avvers arie, ma ciò impedisce ai tagliafili e ai guastatori di far brillare gli ostacoli con i tubi di gelatina. La situazione si fa complicata quando i reparti che dovevano affiancare le punte del 63° non procedono di pari passo e restano indietro. Si decide la riorganizzazione delle forze e si attende il 19 per tentare un nuovo assalto. "L'operazione di collegamento fra i vari comandi si dimostra abbastanza laboriosa, tale da ritardare di alcune ore l'azione. Nel frattempo, il mal diretto tiro di distruzione delle artiglierie sui reticolati e le trincee di quota 111 produce perdite nella prima linea italiana, fra i soldati della 5a e 7a compagnia. L'attacco, previsto nelle prime ore del giorno, può avvenire soltanto alle 17 e 50 e si conclude alle 20 davanti ai reticolati intatti, nello stesso punto del giorno precedente." (...)" Davanti alla quota 111 la situazione rimane statica; impossibile superare la barriera di filo di ferro. Il colonnello Antonio Simoncelli, comandante del 63° reggimento, riferisce al comando di divisione che: Avanti a noi esiste un reticolato che impedisce l'avanzata (circa 200 metri avanti). I militari del genio ieri sera abbandonarono i tubi di gelatina, perchè oggetti a intenso fuoco nemico. La nostra posizione non solo è difficile da mantenere, ma non ci permetterà l'avanzata" (31). E' proprio in questa serie di operazioni che trovò la morte il fante Cherubini.
COLDAGELLI MARCO di Sante
Soldato 129° reggimento fanteria, nato il 10 settembre 1897 a Costacciaro, distretto di Perugia, morto il 28 aprile 1918 in prigionia per malattia
FILIPPINI GIOVANNI
Non risulta inserito nel "Albo d'oro" del 1947.
GUIDARELLI VINCENZO di Guglielmo
Soldato 27° reggimento fanteria, nato il 27 marzo 1880 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 29 novembre 1915 in prigionia per ferite riportate in combattimento (33). Difficile stabilire in quali circostanze il soldato Guidarelli fu preso prigioniero, almeno in mancanza di qualche documento che possa testimoniare la sua detenzione o la sua morte. Ad ogni modo, per il ciclo operativo luglio 1915 - agosto 1916, la Pavia è decorata con la medaglia d'argento al v.m. (34). E' in queste operazioni (impossibile per il momento dire quale) che il soldato Guidarelli viene preso prigioniero.
GUIDARELLI TOMMASO di Guglielmo
Soldato 5° reggimento artiglieria da fortezza, nato il 2 febbraio 1883 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 9 agosto 1918 nella 29a sezione di sanità per infortunio per fatto di guerra(35). Non è stato possibile individuare le esatte circostanze che causarono la morte del Guidarelli, nè il luogo del suo decesso.
LISANDRELLI GIOVANNI di Andrea
Soldato 214° reggimento fanteria, nato il 31 luglio 1896 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 21 giugno 1916 nell'ospedale chirurgico mobile "Città di Milano" per ferite riportate in combattimento (36). Iniziate le operazioni per la riconquista delle linee travolte dagli austro-ungarici nella Strafexpedition, gli italiani si trovarono a dover assaltare cime e montagne perse e oramai rese fortezze dai soldati imperiali. Sull'altopiano dei Sette Comuni, la brigata Arno (213° e 214° regg. fant.) fu schierata in prima linea nel giugno 1916 ed entrò subito in combattimento per arrestare una puntata austriaca in Val Magnaboschi sferrata il 17 giugno. Proprio in questa zona (Monte Zovetto, Monte Lemerle) si susseguirono, per alcuni giorni, dei combattimenti, più o meno aspri che, però, non portarono a nulla.
LUPINI PASQUALE di Natale(37) (foto1)
Soldato 51° reggimento fanteria, nato il 19 maggio 1891 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 9 marzo 1916 sul monte Col di Lana in seguito a caduta di valanga(38). La brigata Alpi, costituita dai reggimenti 51° e 52°, dopo la prima conquista e perdita del Col di Lana, nell'inverno 1915-1916 si schierò sulla linea Passo Fedaia - Monte Mesola - Monte Padon - Cima Valbruna - Vallone Franza (Col di Lana). Oltre alla guerra, i fanti della brigata Alpi dovettero ben presto combattere anche contro la stagione invernale, guardandosi soprattutto dal pericolo delle slavine e delle valanghe. Di questa "battaglia" e delle conseguenze che ebbe specialmente su taluni fanti eugubini, esistono varie testimonianze. Se ne riportano alcune, ad iniziare dalla pubblicazione relativa all'attività del battaglione alpini Val Cordevole. "In questo ultimo scorcio del 1915, sulla Marmolada le condizioni atmosferiche si rivelarono subito particolarmente difficili, con disastrose conseguenze sulla situazione sanitaria delle truppe, soprattutto nelle zone più elevate e fra i reparti meno preparati e inadeguatamente equipaggiati. Il 3 ottobre 1915, un giovanissimo volontario del 51° fanteria, Enzo Valentini di Perugia,(39) che avrebbe poi perso la vita a causa di una valanga, scriveva ai suoi familiari:"Da due giorni il cannone tace. La montagna dorme nel suo silenzio, e nel suo candore, terribilmente bella. Fino a poco fa, ci pareva di conquistarla contro un nemico che ce la contrastava; oggi sentiamo che noi non conquistiamo, nè gli austriaci difendono la montagna, ma essa tollera noi e loro. La neve è discesa dal cielo su noi e sui nostri nemici... Il grande silenzio ha vinto il frastuono; il grande candore ha arrestato l'impeto ostile compresso in noi. La montagna vince l'uomo; noi non osiamo odiare; e per questo la vittoria della montagna è un aumento di luce negli animi che aprono alla luce.Nevica ogni tanto, e ormai non c'è più un centimetro di terreno scoperto. La solitudine ha perso ogni materialità; è un biancore diffuso che sale dalla terra e svanisce nella nebbia che nasconde il cielo; un velario di nebbia si lacera, e compare, come un'allucinazione, un lembo di spettrale paesaggio che fa pensare al gelido immobile Ade; un raggio obliquo di sole rivela qualche linea, qualche forma dolcemente molle e bianca, e dà alla montagna l'aspetto di un altorilievo scolpito in un argento opaco; di notte è la terra che illumina il cielo col suo candore diffuso". Il comando aveva emanato da tempo le istruzioni necessarie per proteggere i soldati dai rigori invernali, ma i mezzi a disposizione erano scarsi e insufficienti. Bisognava che ognuno facesse del proprio meglio, in poche parole: si arrangiasse! Per fortuna la buona volontà e lo spirito d'iniziativa non mancavano da parte nostra, soprattutto fra gli alpini,(40) più pratici ed esperti, o forse meglio equipaggiati di altri reparti. Per prima cosa si dovettero assicurare le comunicazioni e predisporre i mezzi per lo sgombero delle nevi, modificando certi percorsi maggiormente esposti al pericolo delle valanghe. Anche le posizioni di prima linea, dovettero essere convenientemente adattate, scavando camminamenti nella neve e collocando corde o funi metalliche nei punti più difficili e pericolosi. Le teleferiche fecero la loro comparsa più tardi. Le trincee vennero ricoperte e completate con elementi talora scavati solamente nella neve. Si dovette rinunciare ai reticolati fissi per allestire gabbioni e cavalli di frisia, da gettare sulla neve, man mano che essa montava in altezza. Dov'era possibile, gli avamposti furono sistemati in minuscole baracche, protette con sacchetti di sabbia o in caverne faticosamente ricavate nella roccia. Per difendere gli uomini dal freddo, spesso rigido e tagliente a causa del vento, si fece una distribuzione di coperte supplementari, camicie di flanella, calze, guantoni di lana e passamontagna, tutti oggetti di equipaggiamento necessari ma di cui non si disponeva mai in quantità sufficiente. Per gli uomini in servizio di pattuglia furono adottate tute mimetiche di tela bianca, da indossare sopra la divisa. Si fornirono inoltre ramponi da ghiaccio, piccozze, corde manilla, racchette, sci e occhiali da neve. Fu pure necessario escogitare ingegnosi scaldini per le vedette, al fine di ovviare, o almeno ridurre, i numerosi casi di congelamento, verificatisi purtroppo numerosi fra i reparti di fanteria dislocati nella stessa zona. Infine per le truppe impiegate in lavori molto faticosi e per quelle maggiormente esposte alle intemperie, si ottenne un'integrazione rancio, con un supplemento di cibi e bevande calde, e di quando in quando anche con i cosiddetti 'viveri di conforto'.(41) (...) Quantunque la temperatura nel mese di dicembre [1915] scendesse oltre i 25 gradi sotto zero e le bufere infuriassero senza soste, provocando improvvise e frequenti valanghe, i nostri alpini erano riusciti a sistemarsi in modo abbastanza confortevole sulle posizioni loro affidate. L'inverno, d'altronde, non impedì (sia da una parte sia dall'altra) qualche colpo di mano, dovuto talvolta a iniziative personali. Anche le opposte artiglierie continuarono i loro quotidiani scambi di colpi sui punti ove gli osservatori segnalavano l'apparire di nuove opere o lo svilupparsi di una maggiore attività (...). Anche i reparti del 51° fanteria, dislocati ai Passi di Ombretta e Ombrettòla, al Fedaia e sul Padòn, e gli alpini ai quali era affidata la difesa del Sas del Mul, gareggiavano con i commilitoni della Val San Pellegrino nella lotta contro i pericoli e i disagi della montagna. (...) Fra le insidie della montagna, in questo periodo, la più grave era certamente quella delle valanghe, che non era sempre possibile prevedere ed evitare. Le prime vittime si ebbero nella notte del 26 dicembre [1915], quando una grossa slavina travolse il ricovero della truppa che era stato sistemato nel vallone fra il Rifugio Ombretta e il Passo d'Ombrettòla. Ne furono vittima dodici soldati del 51° fanteria, di cui solo quattro poterono essere salvati.(...) Ai primi di marzo, le valanghe furono così numerose e imponenti, da interrompere le comunicazioni fra Sottoguda, Malga Ciapèla e i Passi d'Ombretta e Ombrettòla. In particolare, quella precipitata il 9 marzo sulla località di Tabià Palazze, in Val Ciamp d'Arei, distrusse completamente i ricoveri della truppa e travolse duecento fanti del 51° reggimento, e con essi i sottotenenti E. Bizzarri e L. Vassia (42). Nello stesso giorno ne cadde una anche a Malga Ciapèla facendo sessanta vittime, e un'altra colossale all'imboccatura dei Serrai di Sottoguda, che travolse soldati, valligiani e lavoratori ausiliari. Nel registro dei decessi della parrocchia di Rocca Piètore, alla data del 12 marzo 1916 si trova scritto: "Il giorno 9 corrente, alle 9 circa, dal ripido pendio sovrastante Sottoguda, detto Livinal (verso Valbona-Franzei) precipitava in basso una colossale valang a di neve e abbatteva la vecchia casa e il fienile di Dell'Antonio Isaia (Buosso) con alcuni baraccamenti militari, danneggiava la casa di Dalla Torre Antonio (Bora) e seppelliva numerosi operai intenti allo sgombero della strada alla Varda, vicino all'imboccatura dei Serrai. Pochissimi si salvarono. Morirono circa 20 soldati e 70 muli appartenenti al 51° fanteria, e 19 operai, dei quali 18 di Sottoguda. Lo sgombero della neve per rinvenire i cadaveri durò tre giorni e mezzo, ma non tutti i seppelliti vennero ritrovati"(...) Le perdite subite, a causa delle valanghe, dal 51° fanteria, nella zona fra il Passo d'Ombrettòla e il Monte Mesola, fino alla metà del mese di marzo (1916) risultarono di due ufficiali e 148 soldati morti, e di un ufficiale e 49 soldati feriti (43). Nella relazione dedicata all'attività di guerra della brigata Alpi così si riferisce del triste episodio:"Durante l'inverno, le truppe, pur mantenendosi sempre vigili e aggressive contro il nemico, devono lottare diuturnamente contro l'inclemenza della stagione, la neve, le tormente, le valanghe. Una di queste, la notte sul 9 marzo, travolse nei loro baraccamenti alcuni reparti, provocando la morte di 3 ufficiali e 148 soldati. Ma nonostante le difficoltà del clima e della stagione, i reparti della "Alpi" non diminuiscono, durante i turni di permanenza in linea, nè la vigilanza nè l'aggressività contro il nemico ed eseguono numerose ricognizioni verso le sue posizioni"(44). Anche l'ardito eugubino Enrico Barbi, medaglia di bronzo al valor militare, in una sua intervista del 1996(45) ricordava l'episodio della valanga: "Parlare della grande guerra è emozionante per il nostro nonno, ma l'orgoglio di aver servito l'Italia supera ogni emozione. Solo quando evoca il marzo 1916 nei suoi occhi brilla qualche lacrima": "Ricordo che una valanga, staccatasi dal Sasso di Mezzodì, distrusse un battaglione del 51° Reggimento Fanteria: il "Cacciatori delle Alpi" di Perugia e tra questi si contavano una settantina di eugubini". Come risulta dalla documentazione fino ad oggi raccolta,(46) le valanghe si verificarono nei pressi dei toponimi Crepe Rosse, Tabià Palazze, appena sopra Ciamp d'Arei, e negli immediati dintorni del centro abitato di Malga Ciapela. Il soldato Lupini, che morì il 9 marzo 1916, fu vittima di una delle valanghe che, sempre il 9 marzo 1916, uccise ben 13 soldati di Gubbio del 51°: tre, dell'8a compagnia, a Crepe di Ross; cinque, della 10a e della 12a compagnia, a Tabià Palazze; cinque, sempre appartenenti alla 10a e alla 12a compagnia, a Malga Ciapela. E' quindi assai probabile che anche Lupini cadesse in una di queste tre valanghe. I resti di Lupini Pasquale, come quelli di almeno altri due soldati eugubini, furono recuperati al termine della guerra e inumati nel sacrario di Pocol.(47)
MARIUCCI SALVATORE di Cesare
Soldato 15° reggimento fanteria, nato il 28 febbraio 1893 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 2 agosto 1915 sul medio Isonzo per ferite riportate in combattimento(48). Si tratta probabilmente di operazioni "minori", svolte dalla brigata Savona (15° e 16° regg. fant.) sul medio corso dell'Isonzo. Il reparto, già ai primi di luglio, fu impiegato quale rincalzo della brigata Cagliari nel tentativo di conquistare quota 89, posta nelle vicinanze dell'osservatorio dell'attuale sacrario di Redipuglia. Il 22 luglio, il battaglione di prima linea della Cagliari cedette le posizioni al 15° reggimento della Savona. Il 2 agosto, il 136° fanteria parte all'attacco: la reazione dell'artiglieria avversaria è furibonda e forse fu proprio in questa circostanza che qualche colpo raggiunse le retrovie dove probabilmente i fanti della Savona stavano in allerta, pronti per avanzare ancora.
MASCOLINI POMPEO di Giuseppe
Caporale maggiore 29° reggimento fanteria, nato il 14 gennaio 1899 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 17 novembre 1918 a Fiorenzuola per malattia.(49)
MASCOLINI ALFREDO di Giuseppe
Soldato 32° reggimento fanteria, nato l'8 marzo 1893 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 12 febbraio 1917 sul monte Civaron per ferite riportate in combattimento(50). Durante l'avanzata iniziale della Strafexpedition, gli austro-ungarici si impadronirono del Monte Civeron (o Civaron, in Val Sugana, sopra il Borgo) tra il 24 e il 26 maggio 1916. Nel giugno seguente la brigata Siena venne chiamata a tentarne la riconquista, ma con nessun esito. Stessa sorte ebbe un altro assalto sviluppatosi nell'agosto 1916. Stabilizzatosi il fronte in tutta la zona della Valsugana, superato in parte il duro inverno 1916-1917 che causò anche da queste parti numerose vittime per le slavine e le valanghe, gli austro-ungarici decisero di tentare un'azione che da tempo stavano progettando. Approfittando del fatto che l'alto strato di neve caduta (oltre tre metri) aveva sepolto rifugi, trincee, sentieri e reticolati, gli imperiali intendevano attaccare un vera e propria spina per il loro fianco che era costituita dalla postazione italiana di quota 1015 del Monte Cefelòto, posto nelle vicinanze del Civeron, tenuta dal secondo battaglione del 32° reggimento fanteria della brigata Siena. "All'inizio del febbraio 1917, i reticolati tra le due opposte postazioni erano completamente sepolti dalla neve ghiacciata ed il cammino appariva del tutto spianato. L'allora comandante della 4a compagnia dei fanti dell'Assia, tenente Franz Kern, aveva già studiato sul terreno tutte le possibilità per un avvicinamento di sorpresa alla posizione nemica. Il giorno 11 sembrò arrivato il momento più adatto per l'azione: durante un ultimo colloquio con i comandanti del sottosettore vennero messi a punto i dettagli del piano, la cui attuazione fu fissata per il 12 febbraio. Alle 5.00 del mattino stabilito, una quarantina di "Hessen"(51) tutt i coperti di candidi camici mimetici, uscivano strisciando dai camminamenti e puntavano nel buio verso la vicina trincea avversaria. Il caposaldo italiano di q.1015 era in quei giorni presidiato dalla 10a compagnia del II°: circa 200 uomini con una mitragliatrice pesante, due pistole mitragliatrici ed un lanciabombe che quotidianamente tormentavano le corvèe nemiche attorno a malga Civeron. Mentre una ventina di austriaci, guidati dall'aspirante ufficiale Fessl, attaccavano dimostrativamente di fronte, il tenente Fern e 14 incursori irrompevano a sorpresa sulla sinistra della posizione: il presidio, pur di gran lunga superiore numericamente, cedette rapidamente al panico dinnanzi al nutrito lancio di bombe a mano ed alla confusione seguita all'inaspettata penetrazione. Sorpresa in gran parte ancora nei ricoveri, quasi metà della compagnia (un'ottantina di uomini con 3 ufficiali) alzava le mani dopo pochi minuti di combattimento, mentre i superstiti trovavano scampo nella fuga. Sul terreno della lotta restavano 2 caduti austriaci e 19 italiani tra i quali il sottotenente Lucio Bianco, pugnalato a morte nel corso del corpo a corpo davanti all'ingresso del suo baracchino. Cadevano in mano agli attaccanti anche le tre armi automatiche e la bombarda da 58 mm. Gli "Hessen" non potevano sperare di restare a lungo nella posizione conquistata: q.1015 era infatti totalmente esposta al tiro delle artiglierie da montagna poste sui fronteggianti costoni di destra val Maora (Col del Zibilo e q.890). Le ore trascorse sul rilievo permisero comunque agli osservatori dell'imperial regia artiglieria di godere di una visione panoramica, ricavandone fotografie e schizzi che resero possibile, nelle settimane successive, cannoneggiare a colpo sicuro anche i più defilati accantonamenti, magazzini e depositi avanzati della brigata Siena. La sera del 14 febbraio, i fanti del tenente Kern abbandonavano q.1015 dopo aver asportato o distrutto tutto ciò che avrebbe potuto servire all'avversario; all'alba del 15, i primi fanti italiani erano già ostinatamente al lavoro per riattare la sconvolta posizione"(52).
MORELLI PAOLO di Giovanni (foto 5)
Soldato 88° reggimento fanteria, nato il 16 novembre 1883 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 10 dicembre 1918 a Costacciaro per malattia(53).
PACE SALVATORE di Vincenzo
Soldato 32° reggimento fanteria, nato il 19 gennaio 1892 a Costacciaro, distretto militare di Perugia, morto il 29 luglio 1915 all'ospedale da campo n. 071 per ferite riportate in combattimento(54). Nella prima battaglia dell'Isonzo (23 giugno - 7 luglio 1915) la brigata Siena aveva combattuto nella zona di Sagrado e si era dissanguata in inutili assalti alle munite posizioni carsiche nemiche. Così scrisse il comandante della brigata: "E' mia personale convinzione che prima di esporre le truppe ad altri attacchi, occorra una metodica prolungata preparazione di tiro che sconvolga seriamente ed efficacemente le difese avversarie. Tutti i mezzi finora adoperati per la distruzione dei reticolati sono affatto insufficienti"(55). Nella seconda battaglia dell'Isonzo, invece, la Siena fu impiegata nella zona di Monte San Michele, forse a poca distanza dalla località del primo impegno operativo.(20 - 26 luglio). E' quindi probabile che il soldato Pace trovò la morte in quest'ultimo combattimento.
PANUNZI FRANCESCO
Non risulta inserito nel "Albo d'oro" del 1947.
PANUNZI COSTANTINO
Non risulta inserito nel "Albo d'oro" del 1947.
PANUNZI NAZZARENO
Non risulta inserito nel "Albo d'oro" del 1947.
Altre persone di Villa Col de' Canali ebbero invece la ventura di sopravvivere alla guerra. Tra di loro si ricordano: Giuseppe Bellucci, Luigi Casagrande, Umberto Righi (della "classe di ferro" dell' '88), Sante - Santino - Righi, Carlo Morelli, Benedetto Pambianco. Quest'ultimo, alla tragica notizia della disfatta di Caporetto, avvertì il dovere morale di andare a combattere per la patria minacciata. Tornato rapidamente in Italia dal New Mexico (U.S.A.), si arruolò volontario durante il 1918 e combattè valorosamente a Vittorio Veneto. Fra gli altri Villanti che dimostrarono valore nel conflitto non va dimenticato Genesio Bucciarelli, il quale si fece tutta la guerra col grado di sergente, riportandone una brutta ferita alla spina dorsale e tre medaglie, tra le quali anche la croce di guerra. Incaricato assieme ad altri di svolgere una missione di spionaggio nei confronti di un caposaldo austriaco, attestato su di un'altura difesa da un torrente, Bucciarelli, insieme ad altri commilitoni, fu scoperto e fatto segno ad un intenso fuoco di fucileria e di artiglieria. Lui e i suoi compagni ebbero, però, la prontezza di spirito di gettarsi immediatamente nel corso d'acqua e farsi trascinare verso valle dalla corrente, finchè, aggrappandosi ad alcuni rami penduli e radici affioranti dalle sponde, ebbero modo di portarsi in salvo. Dapprima puniti dai superiori, per l'apparente fallimento della missione, giudicata frettolosamente maldestra, dopo la conquista della posizione nemica, resa possibile anche dalle loro precise indicazioni, furono in vece elogiati e premiati da quegli stessi ufficiali che, poco prima, li avevano redarguiti.. Fra i grandi invalidi di guerra, oltre al pluridecorato tenente degli Arditi Ettore Vivani, vanno almeno segnalati: Giuseppe Dragoni (classe 1887), Luigi Cianfichi (classe 1888). Giuseppe Dragoni (detto "Dragone") doveva essere sui vent'anni quando fu ferito ad una gamba, forse durante una delle battaglie dell'Isonzo, nel corso d'una furibonda offensiva austriaca che annientò, praticamente, l'intera sua compagnia, risparmiando lui ed altri due fanti. Dragoni perse però l'arto, ma, nascondendosi in una trincea prima, e sotto ad un cumulo di cadaveri, poi, ebbe salva la vita. Nominato Cavaliere di Vittorio Veneto, fu decorato anche con altre tre medaglie, tra cui la croce di guerra. Con le medaglie indosso è raffigurato sulla lapide sepolcrale. Luigi Cianfichi fu, invece, ferito alla testa, forse da una scheggia di granata, e dovette, pertanto, subire, qualche tempo dopo, un delicatissimo intervento chirurgico di parziale ricostruzione della calotta cranica. Fra le truppe al seguito del Re Vittorio Emanuele III si segnalò al fronte anche Antonio Puletti, maresciallo maggiore dei Reali Carabinieri, il quale riferì di essere stato "addetto alla persona del Re". Tutti i reduci citati, ed anche altri, il cui nome può essere forse stato, ma involontariamente, omesso, facevano parte della sezione ex-combattenti di Villa Col de' Canali che contava numerosi decorati. Molto ancora ci sarebbe da ricercare, indagare, approfondire sulla vicenda dei combattenti di Villa. Questo vuol essere soltanto un primo ricordo e sentito omaggio nei confronti d'alcuni di loro.
NOTE
- Furono certamente i membri al completo della sezione ex-combattenti di Villa Col de' Canali e tutti i familiari dei caduti a voler collocato proprio in quel luogo, facilmente visibile e di agevole accesso, il bel monumento. La scultura commemorativa necessita, però, di urgenti restauri, affinchè possa ancora tramandare, nei secoli, la memoria di tanti giovani prematuramente scomparsi.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 245.
- E' noto come la facilità di reperimento della documentazione sui soldati sia, in genere, direttamente proporzionale al loro grado militare. Purtroppo anche la disponibilità di diari e/o memorie segue lo stesso criterio, e non poteva essere diversamente se si pensa che bastava saper tenere la penna in mano per essere nominati subito caporali. La maggior parte della fanteria, checchè se ne dica arma regina del Regio Esercit, era costituita per il 50% da contadini. Il tasso di analfabetismo era ben oltre il 60%.
- Cfr. Viazzi 1985, pp. 225-234.
- Si tratta della fase culminate dello scontro che in due giorni portò alla conquista del cosiddetto "Montucolo Austriaco" o "Rothschanze" (cfr. Viazzi 1985, pp. 253.256). Cipicciani (o Cipiciani, come si rileva da altri documenti eugubini) risultò disperso (cfr. Cece, Sannipoli 2003, p. 118).
- Archivio Cece.
- Dal diploma di conferimento della medaglia di bronzo al valor militare datato Roma, 24 maggio 1917 (Costacciaro, collezione privata).
- La brigata Calabria era costituita dai reggimenti 59° e 60°. Ogni reggimento era formato da 3 battaglioni (circa 1000 uomini ciascuno) indicati ciascuno con numerazione romana progressiva (I, I I e III). Ogni battaglione aveva 4 compagnie con circa 250 soldati ciascuna.
- A. Bettega 1998, pp. 207-219.
- Periodico molto diffuso fra i cappellani militari al quale diede la propria fattiva collaborazione anche l'eugubino don Pirro Scavizzi, per il quale, tra l'altro, è stata avviata da tempo la causa di beatificazione.
- Dal diploma di conferimento della medaglia d'argento al valor militare, datato Roma, 31 marzo 1921 (Roma, collezione privata).
- L' "Albo d'oro" non contiene il suo nome, molto probabilmente perchè i compilatori dell'elenco, per disposizione superiore, presero in esame solo i caduti compresi tra il 24 maggio 1915 (inizio della guerra) e il 20 ottobre 1920 (pubblicazione del Trattato di pace in Italia). Sarebbe ora troppo lungo provare che i redattori dell'Albo ebbero numerose "distrazioni" e "dimenticanze". Inoltre va tenuto presente che molti furono i soldati morti negli anni 1921, 1922, 1923, 1924 ed oltre, ai quali fu riconosciuta la pensione di guerra, perchè , appunto, deceduti per causa bellica (cfr. Cece, Sannipoli 2003, pp. 12-13).
- B.U., anno 1916, dispensa 96, p. 5745.
- B.U., anno 1917, dispensa 4, p. 178.
- B.U., anno 1917, dispensa 47, p. 4184.
- Comunicato dell'Agenzia Stefani in www.cronologia.it 1917. In effetti la data del conferimento della medaglia d'argento al Vivani non coincide con quella dell'Agenzia Stefani. Il richiamo però alla forte azione intrapresa dal nemico avvalora - crediamo - il fatto che si debba trattare della stessa azione militare.
- B.U., dispensa 63, p. 5106 (Decreto Luogotenenziale 15 settembre 1918).
- Ogni reparto d'assalto era costituito da tre compagnie di 150 arditi armati di moschetto, bombe Thèvenot e pugnale, tre sezioni mitragliatrici, sei sezioni di pistole mitragliatrici e sei sezioni di lanciafiamme; in totale circa 600 uomini (Rochat 1997, p. 62)
- Rochat 1997, p. 62.
- Rielaborazione dell'articolo di E. Puletti " Una vita all'assalto"
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 258.
- Nello stesso giorno e nello stesso luogo cadde anche il sergente maggiore Raffaele Faramelli, di Gubbio, anche lui mitragliere nel 134° regg. fant., brigata Benevento (Cece, 2001, pp. 26-27).
- Acerbi 1998, p. 302.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 258
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 34.
- F. Cece," La brigata Perugia" 2003.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro1947, p. 62.
- F. Cece, " La brigata Perugia" 2003.
- Tra i militari di cui è stato possibile individuare la data di morte, il Cherubini risulta essere stato il primo soldato di Villa a morire in guerra.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 95.
- Fabi 1997, pp. 79-80.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 106.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 175.
- Alle bandiere della "Brigata Pavia", 27° e 28° Fanteria: "Confermato l'antico valore e le vecchie gloriose tradizioni nelle lunghe ed ostinate lotte sull'aspro terreno del Sabotino e del Podgora, presero poi parte gloriosa alla battaglia di Gorizia e, varcato l'Isonzo, portarono primi la bandiera d'Italia nella conquistata città; luglio 1915 agosto 1916"
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 175.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 182.
- Nome aggiunto in un secondo tempo, a lista completata e scolpita.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 188.
- Il fante Enzo Valentini, che fu decorato di medaglia d'argento al valor militare, apparteneva alla nobile famiglia dei conti Valentini di Perugia (Cfr.. M. Bartoli, D. Fontanive, M. Fornaro, Dalla Marmolada al Piave. Diari e testimonianze della Grande Guerra 1915-1918, Edizioni Turismo Veneto 1996, pp. 67-80).
- Nella zona della Marmolada, accanto al 51° regg. fant. (brigata Alpi), operava pure il battaglione alpini "Val Cordevole".
- Cioccolata, cognac ecc.
- Nota originale al testo: "Fra le vittime di questa valanga vi erano anche quattro guardie di finanza e cinque artiglieri della 24a batteria da montagna".
- Viazzi, Andreoletti 1998, pp. 101-108.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella Guerra 1915-1918, 1926, pp. 69-71.
- "Gubbio Oggi", a. VI (1996), n. 4. p. 14.
- F. Cece, " I soldati eugubini del 51° reggimento fanteria morti nelle valanghe del marzo 1916. I, Gubbio 1916 (inedito).
- Dobbiamo alla cortesia di Dario Fontanive l'individuazione del nome del soldato Lupini Pasquale sulle lapidi del sacrario di Pocol.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 205.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 208.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 208.
- Battaglione austriaco.
- Girotto 1995, p. 393.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 227.
- Militari Caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro 1947, p. 241.
- Pieropan 1988, p. 128.
Bibliografia
- E. Acerbi, Strafexpedition, maggio-giugno 1916, fatti - memorie - immagini - ricordi dell'offensiva in Trentino ed altopiano, Novale - Valdagno 1998.
- G. Alliney, MRZLI VRH una montagna in guerra. Alto Isonzo 1915, dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, Chiari 2000.
- M. Bartoli, D. Fontanive, M. Fornaro, Dalla Marmolada al Piave. Diari e testimonianze della Grande Guerra 1915-1918, Edizioni Turismo Veneto 1996, pp. 67-80.
- Bettega, Soldati contro montagne, Novale Valdagno 1998.
- F. Cece, Soldati Eugubini decorati al valor militare nella Grande guerra. Parte prima, Gubbio 2001 (dispensa).
- F. Cece, Gli ecclesiastici eugubini nella Grande Guerra, Gubbio 2003 (dispensa)
- F. Cece, La brigata Perugia, Gubbio 2003, in "www.cimeetrincee.it.perugia.htm".
- F. Cece, E.A. Sannipoli, Il Viale della Rimembranza di Gubbio, Gubbio 2003.
- L. Fabi, Gente di trincea. La grande guerra sul Carso e sull'Isonzo, Milano 1997.
- L. Girotto, La lunga trincea. 1915-1918. Cronache della Grande Guerra dalla Valsugana alla Val di Fiemme. Cima di Vezzena - Panarotta - Catena Lagorai - Cima d'Asta - Cauriol, Novale Valdagno 1995.
- Militari Caduti della Guerra Nazionale 1915-1918. Albo d'Oro, Volume Venticinquesimo, Umbria (Provincia di Perugia, Roma 1947.
- G. Pieropan,16 1914-1918. Storia della Grande Guerra, Milano 1988.
- E. Puletti, Due Agostiniani da ricordare, in "Delivery News" del 24 dicembre 2002.
- E. Puletti, Il coraggio e l'amore per la patria del pluridecorato tenente Vivani, ne "Il Corriere dell'Umbria" del 20 giugno 2003.
- E. Puletti, Il tenente cappellano Settimio Pambianco, sacerdote e soldato nella guerra 15-18, ne "L'Eco del Serrasanta" del 20 luglio 2003.
- E. Puletti, Una vita all'assalto, ne "L'Eco del Serrasanta" del 22 giugno 2003.
- E. Puletti, Va restaurata la lapide per i caduti in guerra, ne "Il Corriere dell'Umbria" del 21 agosto 2003.
- E. Puletti, Ricordo dei caduti nella guerra 15-18, ne "L'Eco del Serrasanta" del 21 settembre 2003.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella Guerra 1915-1918, Brigate di fanteria ... Alpi ..., Roma 1926, pp. 69-71.
- G. Rochat, Gli arditi nella Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, Gorizia 1999.
- L. Viazzi, Col di Lana monte di fuoco 1915-1917, Milano 1985.
- L. Viazzi, A. Andreoletti, Con gli alpini sulla Marmolada, Milano 1998, pp. 101-108.
- www.cronologia.it/storia/a1917c.htm
Si ringraziano sentitamente, per la gentile e fattiva collaborazione, le Sigg.re e i Sigg.ri: Lucia Cesarini, Anna Conti, Giorgio Giombetti, Valerio Pambianco, Graziano Gambucci, Dario Fontanive.
- Illustrazioni
- 1. Iscrizione del soldato Lupini sepolto nel sacrario di Pocol.
- 2. Tenente don Settimio Pambianco, cappellano militare
- 3. Tenente EttoreVivani
- 4. Sergente Pellegrini Feliciano
- 5. Soldato Morelli Paolo
- 6. Soldato Pellegrini Francesco