Con gli Uomini Originari

 

alla scoperta della Grotta del Mistero

             

Domenica 19 giugno p.v., il dottor Euro Puletti, assessore alla cultura del Comune di Costacciaro e condomine dell’Università degli Uomini Originari, guiderà, a partire dalle ore 9:30/10:00 del mattino, chiunque lo desideri ad un’escursione breve (due ore circa in tutto, comprese andata, visita e ritorno) alla misteriosissima Grotta de Sant’Agnese sul Monte Cucco. Il luogo di ritrovo sarà quello di partenza dell’escursione stessa, ovverosia la curva della località “La Pìgnola”, lungo la strada comunale Costacciaro-Pian delle Macinare, dove ci sono una fontanella con acqua corrente ed il cartello di legno con l’indicazione “Grotta di Sant’Agnese Pecore Tarmiti”.

L’escursione, sebbene non lunga, presenta qualche relativa difficoltà, difficoltà legata, soprattutto, alla ristrettezza della traccia di sentiero ed al fatto che il suo fondo si presenta, in più punti, sconnesso ed accidentato. Questi ostacoli sono, comunque, tutti facilmente superabili, facendo saggiamente ricorso a due preziose virtù: calma e prudenza.

La Grotta di Sant’Agnese, che si apre a 1.050 m d’altitudine, lungo il suggestivo versante occidentale della montagna, è un misterioso antro carsico (uno dei quattro più grandi del Cucco), cui è legata un’interessantissima leggenda popolare. La tradizione orale di Costacciaro vuole, infatti, che Agnese, pastorella adolescente, vivesse, per qualche anno, da eremita sul Monte Cucco, facendo penitenza nella vasta Grotta de Sant’Agnese, che, proprio da lei, avrebbe successivamente mutuato il nome che tuttora porta.

Nonostante l’assoluta proibizione del padre a persistere in questo severo stile di vita, assai rischioso per una fanciulla, a causa delle bestie selvagge (orsi e lupi, in primis) e di uomini malintenzionati, ella, sospinta da fortissima vocazione religiosa, avrebbe lungamente continuato il suo penitenziale ritiro all’interno dell’ampia cavità del Monte Cucco. D’antichissima frequentazione umana, come mostrano chiaramente gli ingenti accumuli di cenere, i frammenti di laterizio, i resti di vasellame, un incàvo scolpito nella roccia ed atto a sostenere il trave d’una tettoia, in progresso di tempo, la grotta, trasformata in tempio cristiano, avrebbe “ospitato” una grande acquasantiera, o base d’altare (che si racconta essere stata costituita di “griccia”, vale a dire di conglomerato, o di “travertino de La Fossa”, e trafugata all’inizio del secolo XX), e, presumibilmente, una modesta cella eremitica («cellula»), di pianta rettangolare, ed in pietra acconcia (di cui ancor oggi si possono intuire i resti), destinata a dispensare ricetto e protezione alla vergine Agnese. Dando un’occhiata, anche fuggevole, all’antro, non è difficile immaginare perché esso possa essere stato scelto quale luogo di stanziamento eremitico. La caverna è aperta, ampia ed asciutta, ma, anche, fornita di quelle anfrattuosità e rientranze rocciose (sia in alto, sia a livello del suolo), utili e necessarie a nascondersi in caso di pericolo, e, cosa fondamentale, dotata di pressoché perenni apporti idrici di stillicidio (uno dei quali, più abbondante, forma una bella pozza d’acqua temporanea). La citata acquasantiera della Grotta di Sant’Agnese, per restare sempre colma d’acqua, doveva essere collocata proprio sotto tale maggiore stillicidio del vasto androne.

Essa è, inoltre, esposta ad occidente, dunque illuminata e riscaldata, sin quasi al tramonto (almeno all’imbocco), dal sole e riparata dai rigidi e fortissimi venti di tramontana del Cucco. Aprèntesi in mezzo alla grande Faggeta della Pìgnola, la grotta rimane, per questo, celata ai più, benché il suo ingresso (a forma d’enorme “arco a sesto ribassato”) sia facilmente accessibile dall’antichissimo tratturo, ora abbandonato, che ascendeva al Pian delle Macinare e da un sentiero che si diparte dall’ultimo grande tornante della strada comunale Costacciaro-Pian delle Macinare, che qui attraversa la località Pìgnola, ed in corrispondenza del quale vi è una sorgentella perenne. Per le citate caratteristiche, la grotta servì da rifugio ad un certo numero di sfollati costacciaroli durante l’ultimo conflitto mondiale.

Tornando alla leggendaria esistenza di Agnese, occorre, tuttavia, dire che l’episodio cruciale della sua vita è quello che può essere paragonato ad un martirio. Un pastore del Cucco, vedendola spesso transitare da sola per le praterie sommitali della località La Pìgnola, volle un giorno scoprire cosa spingesse la giovane ad errare per quei luoghi tanto aspri e selvaggi. Pedinàtala, l’uomo la sorprese, inopinatamente, a pregare, in atteggiamento estatico, dinanzi ad un crocifisso di legno, proprio all’interno dell’androne carsico. La giovane, accòrtasi della presenza del pastore, che ben conosceva, essendo costui di Costacciaro, lo scongiurò, gettàndoglisi ai piedi, affinché non avesse mai a rivelare ad alcuno il sito da lei eletto a penitenziale rifugio. Con lacrime e pianti, allora, ella rammollì i ruvidi scarponi dell’uomo, asciugandoli, poi (un po’ come aveva fatto la Maddalena con il Cristo), con i suoi lunghi e sciolti capelli biondi. Il pastore, tuttavia, non appena ebbe ad incontrare il padre della “pulzella di Costacciaro”, il quale andava cercando per ogni dove la figliuola, con l’intenzione di punirla per il solo fatto che, invece di dar retta a lui, obbediva alla chiamata di un altro Padre, l’Onnipotente, non esitò un solo istante a spifferàrgli tutto quanto era a sua conoscenza. Il genitore, dell’eremita, allora, la sorprese, quel giorno stesso, all’imbocco dell’antro, strappandola bruscamente al rapimento delle proprie contemplazioni. Afferràtala, così, per i lunghi capelli biondi, che raccolse brutalmente in forma di treccia, assicurò quest’ultima ad una corda, corda che legò, poi, al suo bianco destriero. Balzato in sella, l’uomo iniziò allora una terribile cavalcata per le irte asperità rocciose, i rovi e gli intricati arbusti della montagna. Agnese, strascinata come un sacco di patate, e sballottata a destra e a sinistra, pareva un fecondo chicco di grano che fosse gettato a spaio dalle ruvide mani di un contadino. Dilacerate le carni, sfigurato il bel viso, martoriate le gentili dita affusolate, e da tempo aduse alla diuturna congiunzione nell’atto della preghiera, ella, ciononostante, riconobbe sùbito il pastore traditore, non appena questi gli sfilò di fronte ai grandi, lacrimosi occhi. Presa da un umanissimo raptus di rabbia, furono durissime le parole che costei indirizzò, nel suo dialetto materno, al pecoraio traditore. Fu, infatti, una maledizione quella che Agnese gli lanciò: «Te podesse ammarmi’ te, pecore e cane, co’ ’l curtello e ’l pane su le mane!», frase che, tradotta, vale: ‘Possa tu restare pietrificato, insieme alle tue pecore, al tuo cane, al coltello ed al pane che stringi nelle mani’. In men che non si dica, il pastore, le pecore, il suo cane, e persino il coltello, il formaggio ed il pane che stava mangiando furono tramutati in durissime statue di roccia calcarea. La singolare formazione rocciosa prese, da quel giorno, il nome di Pècore Tarmìte, vale a dire di ‘pecore pietrificate’. Il padre della pia fanciulla, allora, rimasto stupefatto da questo primo prodigio, operato dalla figlia, l’avrebbe lasciata, finalmente, libera di seguire la sua vocazione religiosa.

Euro Puletti